RITORNARE

Ho ormai trascorso a Roma più della metà della mia vita, essendoci atterrata felicemente ormai oltre trent’anni fa. Ma la mia pelle, i miei muscoli e le mie ossa sono fatti della superficie sbrilluccicante del Bacino San Marco, delle barene viola della Laguna nord e dei pali infitti nel fango che sostengono la casa dove sono nata, sul Rio de San Vio.

Cosa faccio, dove vado per ritrovarmi quando ritorno a Venezia? Cammino. Perché l’elasticità dei masegni [1] posati sulla terra impregnata di acqua salsa la ritrovo solo sui selciati di questa città, e le gambe rispondono a un richiamo atavico, muovendosi senza accumulare stanchezza. Raramente mi do una direzione: è il privilegio che accomuna chi, senza incombenze, segue coi passi i propri pensieri e chi si muove per cercare, inseguire, conoscere un luogo solo immaginato. Ascolto i rumori delle cose. Qui si può.

Mi ritrovo in luoghi inattesi a me stessa. A Cannaregio, nei canali dove remavo con mio padre, davanti alla Chiesa della Madonna dell’Orto, in un piccolo campo tutto rosa merlettato di bianco, per andare a trovare la piccola Marietta del Tintoretto, ritratta come la Vergine bambina presentata al tempio (chi mai ricorda il tempio? solo le scale e la bimba si ricordano). Sulla riva dei Sette Martiri, a guardare il Lido, la casa della nonna, e poi controllare se il Monumento alla Partigiana è sempre lì, poggiato su un letto di alghe verdi e lambito dalle scie dei vaporetti. Nei chiostri magici, uno dopo l’altro, dell’antica Scuola Grande di San Marco, che è per noi l’Ospedale, il più bello e il più caro tra tutti gli ospedali, dove prospera una piccola colonia di gatti neri. Sul ponte di legno che conduce, nel silenzio, alla remota Chiesa di San Pietro di Castello. In Campo San Giacomo dall’Orio, sotto i platani, seguendo il profilo frastagliato e imprevedibile della chiesa, fatto di spigoli, rette e curve panciute.

Ognuno di noi, per ritrovarsi, va in cerca dei suoi luoghi. Ogni luogo, interrogato, racconta la sua storia.

                                            Cecilia

[1] Il termine masegno, in veneziano, indica un blocco di pietra intagliato per farne un elemento della pavimentazione. I masegni in trachite euganea sono stati utilizzati a Venezia nel corso del Settecento per sostituire la più antica pavimentazione di mattoni in cotto a spina di pesce.

2 pensieri su “RITORNARE

  1. Andrea dice:

    Stupendo! Complimenti Cecilia. Da veneziano mi hai fatto viaggiare col tuo ricordo attraverso la nostra città meravigliosa… Ho rivisto ogni luogo… Ho vissuto ogni emozione.

    Andrea

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