DALLE RIVE DEL PIAVE

Cara Aregoladarte, 



La tua proposta, molto gradita, di inviarti un racconto o uno scritto mi ha riportato alla memoria il mio nonno paterno, che amava molto raccontare storielle e barzellette ambientante nel paese o nelle vicinanze; egli stesso, a sua volta, ricordava e menzionava le “Storie del barbaeto”. 
Cosa fosse un “barbaeto” ci è voluto un po’ per capirlo. 
Ci sono arrivata da grande, da adulta, scorrendo la trascrizione dell’albero genealogico, dove, ad un certo punto, risulta la presenza di un “Barba Eto”, cioè di uno “Zio Eto”, perché “barba”, nella parlata della Sinistra Piave, ancora fra fine Ottocento e metà Novecento significava “zio”. Ulteriore sorpresa: questo zio si chiamava Angelo, infatti “Eto” era il diminutivo di Anzoeto o Andoeto. 
Di solito chi aveva un “Barba” aveva anche un’ “Amia”, una zia. Il nonno ne aveva almeno due, “Amia Vecia” e “Amia Dovena”, la zia anziana e la zia giovane, ma lo specialista delle storie era lui, lo zio Angelo.
Riesco quasi a immaginarlo, presente ai filò, nelle stalle, nelle serate umide e fredde in autunno e in inverno o all’aperto, in contrada, nelle tiepide sere di maggio e d’estate, cronista di fatti e personaggi del momento, custode e cantore della triste leggenda di Bianca di Collalto, vivace mattatore per le bricconate del Massariol o superstizioso rivelatore dei conciliaboli delle streghe attorno alla vecchia albera (quercia) nelle Grave di Papadopoli.
Mi ripeto la domanda che si poneva il nonno, lucido protagonista di cambiamenti epocali: cosa direbbe, lo zio, se tornasse improvvisamente qui e ora?
Rimarrebbe sicuramente stupito. 
Forse si affiderebbe, come noi, alla modernità, al World Wide Web, che permette di raccontare e di ridurre le distanze di spazio e di tempo.
Sicuramente apprezzerebbe chi, in vario modo, ama e diffonde cultura e tradizioni.

Ti saluto e ti invio un caloroso abbraccio.
Tua
Teresa

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